Diversi studi hanno evidenziato la correlazione tra perdita di udito e rischio di demenza senile o Alzheimer tra le persone anziane. Al netto di ciò, gli apparecchi acustici possono aiutare? Prova a rispondere uno studio.
Quando le istituzioni sanitarie sottolineano l’importanza di prendersi cura del proprio udito, invitando le persone over 55 ad effettuare esami audiometrici almeno una volta l’anno, l’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle possibili ripercussioni dell’ipoacusia (calo uditivo) per il benessere fisico e mentale, con un riferimento particolare alla salute del cervello.
Diversi studi, infatti, hanno evidenziato come la perdita di udito possa accelerare il fisiologico deterioramento cognitivo dovuto all’età. La Lancet Commission, per esempio, ha stimato che il mancato trattamento della disabilità uditiva può rappresentare fino al 9% dei casi di demenza, supponendo che esista effettivamente una relazione causale tra declino uditivo e cognitivo.
Un’altra ricerca di qualche anno fa suggerisce una forte connessione tra la gravità della perdita uditiva e il rischio di demenza. Gli esiti, infatti, hanno evidenziato un rischio da 2 a 5 volte maggiore di demenza tra le persone affette da ipoacusia lieve o grave.
Tra i possibili meccanismi alla base di questa relazione tra udito debole e rischio demenza. Secondo diversi studiosi, ci sarebbe l’aumento del carico cognitivo per chi è alle prese con problemi di udito.
Più specificamente, non riuscire a sentire bene comporterebbe una maggiore fatica del cervello durante le interazioni. Fatica tale da “costringere” il cervello a ridurre le risorse cognitive destinate per altri compiti.
Al netto di queste evidenze scientifiche, la riabilitazione dell’udito si sta ritagliando uno spazio sempre più importante come strategia di prevenzione alle forme di declino cognitivo.
E quando si parla di recupero uditivo, è inevitabile la menzione agli apparecchi acustici.
Apparecchi acustici e impatto sul declino cognitivo: uno studio
Un team di ricercatori britannici ha condotto una ricerca per valutare l’associazione tra deficit uditivo auto-riferito e uso di apparecchi acustici con il declino cognitivo. L’Alzheimer’s Association ne ha pubblicato gli esiti.
Gli autori hanno osservato i dati provenienti dall’Alzheimer’s Disease Research (ADRC), ovvero un database di informazioni cliniche e neuropatologiche raccolte dai centri di ricerca britannici sull’Alzheimer.
“Abbiamo analizzato un totale di 4358 partecipanti (dai 40 agli 80 anni, età media 68) senza deterioramento cognitivo al basale. Ciò includeva 450 (10,3%) soggetti con problemi di udito e 3908 (89,7%) soggetti senza problemi di udito. Tra i 450 partecipanti con problemi di udito, 313 sono stati classificati come utilizzatori di apparecchi acustici mentre 137 non utilizzavano apparecchi acustici”, precisano gli autori.
Durante il follow-up, gli autori hanno riscontrato 416 casi di deterioramento cognitivo lieve.
Conclusioni dello studio
Innanzitutto, gli autori hanno riscontrato un maggiore rischio di declino cognitivo e deterioramento cognitivo lieve tra le persone con udito debole.
L’esito più interessante, però, emerge dall’impatto positivo degli apparecchi acustici: le persone con ipoacusia che li utilizzavano avevano il 50% di rischio in meno di sviluppare deterioramento cognitivo lieve.
Non è stata registrata, invece, alcuna differenza tra persone con udito sano e utilizzatori di apparecchi acustici.
“Ciò implica che l’uso di apparecchi acustici può aiutare a mitigare il declino cognitivo associato alla perdita dell’udito”, precisano gli autori.
In attesa di ulteriori studi che prevedano misurazioni più obiettive dei deficit uditivi dei volontari e che possano fare maggiore luce sulle relazioni causa-effetto di questa associazione tra udito e salute cerebrale, questo studio suggerisce la possibilità di introdurre un’assistenza sanitaria di qualità che integri l’uso di apparecchi acustici per prevenire la diffusione della demenza senile su larga scala.